Se non è un colpo di spugna, poco ci manca. Il percorso della Dakar è cambiato, e non poco, rispetto a quello annunciato (nelle sue linee generali anche da Vado e Torno sul n.12/2021). Non si tratta di dettagli. Piuttosto, gli uomini di David Castera, direttore generale della Dakar, sono stati costretti a ridisegnare alcune tappe, abbandonando ad esempio l’idea di attraversare il suggestivo e sterminato Empty Quarter, il deserto più grande al mondo, una distesa che si prende buona parte della zona meridionale della Penisola Araba. Allo stesso modo, la corsa non si inoltrerà nemmeno nella parte più a est del paese.

Un cambiamento certamente non voluto dagli organizzatori di Aso, ma resosi necessario dopo gli ultimi sopralluoghi effettuati dal team dei ricognitori. Il nuovo disegno del tracciato (circa 8 mila chilometri in totale, oltre la metà dei quali di prova speciale), conferma invece quella sorta di triangolo isoscele che ha nelle città di Jeddah, Ha’il e Riyadh i tre punti di congiunzione attorno ai quali prendono forma le dodici tappe.

Dakar 2022, 8.000 km di avventura

Tappe che in realtà vengono anticipate il primo giorno del nuovo anno da un prologo con prova speciale di 19 km (ma complessivamente i concorrenti ne percorreranno circa 800), inserito per stabilire l’ordine di partenza di quella che sarà la prima tappa, un anello di 546 km (di cui 334 di prova speciale) a Ha’il.

Da qui i truck in gara (57 quelli iscritti) nell’edizione numero 44 della corsa, muoveranno verso sud, in direzione di Riyadh. In quella che gli organizzatori promettono non sarà una passeggiata, vista l’abbondanza di sabbia, dune e rocce, che si aggiungono a settori di pura navigazione e tratti guidati in cui le insidie del percorso saranno di fatto una costante a ogni metro. Una prima parte di Dakar, insomma, che sicuramente scremerà il gruppo, delineando le gerarchie.

Nulla di definitivo, beninteso. Tuttavia molto probabilmente avremo già ben chiaro chi dovrà riporre nel cassetto i sogni di gloria cullati per un anno intero. A quel punto, ritemprate le energie nell’unica giornata di riposo prevista (sabato 8 gennaio a Riyadh), dopo aver toccato il punto più meridionale della corsa nella nona frazione a Wadi Ad Dawasir (un anello di 490 km, di cui 287 di prova speciale, dove si annuncia un’indigestione di tratti tortuosi), la Dakar punterà a ovest verso Jeddah, dove la corsa si concluderà sulle sponde del mar Rosso venerdì 14 gennaio.

Dall’ibrido all’idrogeno

Per quanto riguarda la categoria truck, sono 57 i camion iscritti, appartenenti a 11 marchi. Nutrita è la pattuglia di Iveco (16 veicoli) e Man (18) a contrastare i missili biancoblu della Kamaz (4). Peccato si siano chiamati fuori dalla partita i bielorussi di Maz con il loro alfiere Viazovich, binomio protagonista nelle ultime due edizioni della corsa. Un’assenza di rilevo, peraltro compensata dalla curiosità per ciò che sapranno e protranno fare i due ibridi schierati da Renault Trucks (un C460 pilotato da Huzink) e Hino (un 800 Series per Sugawara).

Ma ancor di più, udite udite, il Gaussin H2, il primo camion a idrogeno al via del più prestigioso e difficile tra i rally raid (ne parliamo nel box di queste pagine). Tre esempi della svolta, in termini di transizione green, verso la quale anche una competizione impegnativa come la Dakar è fermamente proiettata con l’obiettivo di ridurre le emissioni dei veicoli in corsa. Al punto da istituire già quest’anno la nuova categoria, denominata T1U, specificamente dedicata ai veicoli, per così dire, con alimentazione alternativa. È il futuro che avanza, e in quanto tale da seguire con attenzione.

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