“Per Eni la decarbonizzazione dei trasporti non consiste in una competizione tra soluzioni tecnologiche, ma deve basarsi sulla sinergia e complementarità delle tecnologie disponibili”. Basta questa frase, che compare all’inizio della nostra intervista, per raffigurare lo scenario particolarmente fluido – “liquido”, si direbbe – della transizione energetica in cui si trova immerso il mondo dei trasporti. Un soggetto come Eni, che è perfino superfluo presentare, non può che giocare un ruolo di primissimo piano in questo quadro, lavorando su piattaforme e soluzioni diverse. Tante, ancor più delle sei zampe del suo celebre cane. Nella nostra chiacchierata siamo partiti dalla più stretta attualità, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento.

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Eni: un approccio multidisciplinare alla decarbonizzazione

Si parla tanto della necessità di trovare fonti energetiche alternative a quelle ‘tradizionali’ per ridurre la dipendenza da fornitori esteri. Quale può essere il ruolo dei biocarburanti in uno scenario del genere?

“Per Eni la decarbonizzazione dei trasporti non consiste in una competizione tra soluzioni tecnologiche, ma deve basarsi sulla sinergia e complementarità delle tecnologie disponibili, con un approccio multidisciplinare in grado di contribuire a massimizzare il risultato in termini di decarbonizzazione e ridurre progressivamente il consumo di fonti energetiche tradizionali. 

Un’opportunità per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative arriva dall’economia circolare, fattore abilitante per identificare soluzioni innovative per la produzione di biocarburanti da feedstock sempre più sostenibili come scarti e residui, colture non in competizione con cicli alimentari, bio oli e oli microbici, la cui produzione sia riconosciuta come efficiente ed ambientalmente sostenibile. 

Eni dal 2014 produce biocarburante attraverso la trasformazione di oli vegetali e biomasse di scarto in HVO (olio vegetale idrogenato), che addizionato al gasolio dà vita a Eni Diesel+, il carburante premium di Eni, e che può essere utilizzato anche puro in tutte le motorizzazioni più recenti”.

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Quali sono le peculiarità della tecnologia Ecofining per la trasformazione della materia prima in biocarburante?

“L’olio estratto dalle colture viene processato e trasformato in biocarburante proprio grazie alla tecnologia proprietaria Ecofining, sviluppata da Eni nei propri laboratori e centri di ricerca in collaborazione con Honeywell-UOP. Grazie a questa tecnologia è possibile trasformare materie prime di origine biologica in biocarburanti di alta qualità. 

I biocarburanti sono uno degli strumenti per contribuire al contenimento delle emissioni di CO2 nel settore dei trasporti, tanto che l’Unione Europea ne promuove l’utilizzo attraverso specifiche direttive come la RED II. La tecnologia Ecofining soddisfa l’esigenza della produzione di biocarburanti sostenibili (prodotti a partire da scarti o colture che non sottraggono terreno all’agricoltura, a differenza dei biocarburanti tradizionali che derivano invece da colture in competizione con l’uso alimentare) perché in grado di lavorare biomasse di varia natura. 

Inoltre, a differenza del processo per la produzione di biodiesel classico (FAME), con la tecnologia Ecofining si ottiene un biocarburante HVO di alta qualità privo di componenti ossigenate e con elevato numero di cetano in grado di essere utilizzato in purezza e ad elevate percentuali in miscela con il gasolio fossile.

Nel breve e medio termine, l’HVO può rappresentare un vettore energetico molto valido per contribuire da subito alla decarbonizzazione nel settore del trasporto pesante

Grazie alla tecnologia Ecofining, Eni ha convertito due raffinerie convenzionali in bioraffinerie – quella di Venezia, a Porto Marghera, primo esempio al mondo, e quella di Gela – con operazioni che hanno permesso di valorizzare asset che sono strategici anche dal punto di vista logistico e di preservare i posti di lavoro”.

Oltre la decarbonizzazione: Eni e l’economia circolare

Si possono citare esempi concreti di economia circolare attualmente attivi o promossi da Eni?

“La ricerca Eni è attiva in progetti di economia circolare finalizzati alla valorizzazione delle biomasse da scarti e rifiuti per utilizzarli come feedstock per la produzione di biocarburanti HVO. Gli oli alimentari esausti (UCO) sono un chiaro esempio del contributo dell’economia circolare per sviluppare soluzioni per la mobilità sostenibile. Circa il 50% degli UCO raccolti in Italia viene trattato nelle bioraffinerie Eni di Venezia (foto in basso, ndr) e Gela, grazie anche alle partnership siglate da Eni con i consorzi CONOE, RenOils, Utilitalia e agli accordi siglati con diverse aziende multiutility incaricate della raccolta e trattamento degli oli alimentari esausti. 

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In ottica di sostenibilità ambientale Eni promuove non solo il riutilizzo degli scarti, ma anche l’uso di terreni marginali. In tal senso, in coordinamento con il dipartimento di Natural Resources, Eni sta sviluppando una catena di approvvigionamento per il sistema di bioraffinazione grazie ad accordi in Kenya, Benin, Congo, Angola, Mozambico, Algeria e Costa d’Avorio per lo sviluppo di colture oleaginose sostenibili su terreni soggetti a degrado naturale e antropico, senza sottrarre terreno alle attività agricole, evitando così di entrare in competizione con la filiera alimentare”.

Quanto è complessa la trasformazione di una raffineria tradizionale in bioraffineria? Quali sono le principali sfide da affrontare in un processo del genere?

“La transizione energetica di Eni abbraccia tutti i business: dalla raffinazione alla chimica, dalla generazione di elettricità al risanamento ambientale, dalle stazioni di servizio alla realizzazione di impianti eolici o fotovoltaici di ultima generazione. 

La conversione di una raffineria tradizionale in una bioraffineria è un processo che negli ultimi anni Eni ha affrontato e completato a Venezia, a Porto Marghera, e a Gela attraverso al riutilizzo di asset e impianti esistenti, un chiaro esempio di circolarità industriale. Per trasformare i modelli energetici tradizionali è necessario affrontare soprattutto sfide tecnologiche: il brevetto che ha trasformato le due bioraffinerie è stato depositato nel 2007 e oggi sono oltre 150 le tecnologie proprietarie (che in molti casi hanno un time-to-market velocissimo, di appena 3-4 anni) a nostra disposizione. Tra queste la già citata tecnologia proprietaria Ecofining che, grazie alla sua grande flessibilità, consente di trattare diversi tipi di cariche: dal 2023 Eni non utilizzerà olio di palma e la capacità di bioraffinazione crescerà fino a 6 milioni di tonnellate/anno entro il 2035”.

L’obiettivo è generare un prodotto energetico rinnovabile, da rifiuti o biomasse, per la mobilità sostenibile, coinvolgendo gli stakeholder nei territori per creare sinergie lungo tutta la filiera

Quali sono le peculiarità delle bioraffinerie avviate da Eni?

“La bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, è il primo esempio al mondo di conversione di una raffineria di petrolio in bioraffineria: è in esercizio dal 2014 e utilizza quote sempre maggiori di oli alimentari esausti, grassi animali e altre materie prime di scarto, in sostituzione degli oli vegetali certificati per la sostenibilità. Nel 2019 Eni ha avviato anche la bioraffineria di Gela (foto in basso, ndr), con una capacità di lavorazione fino a 750.000 tonnellate anno. Nel marzo 2021 è stato avviato e collaudato il nuovo impianto BTU, Biomass Treatment Unit, che consente alla bioraffineria Eni di Gela di utilizzare fino al 100% biomasse di scarto, oli vegetali usati e di frittura, grassi animali, oli estratti da colture in terreni marginali non in competizione con la filiera alimentare. 

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L’obiettivo è generare un prodotto energetico rinnovabile, da rifiuti o biomasse, per la mobilità sostenibile, coinvolgendo gli stakeholder nei territori per creare sinergie lungo tutta la filiera. Un’altra sfida è proprio quella relativa al lavoro di squadra: politica, istituzioni e industria devono procedere all’unisono, unire forze e competenze e convogliarle verso la diversificazione tecnologica, che è la chiave della transizione”.

La transizione energetica nell’autotrasporto

L’autotrasporto vive un momento di trasformazione e incertezza. Elettrico, idrogeno e biocarburanti sono le tre tecnologie attorno alle quali ruotano le strategie dei maggiori costruttori europei. Dal punto di vista di Eni, da qui alla fine del decennio ci sarà una tecnologia nettamente prevalente? Quale sarà lo scenario per quanto riguarda il trasporto pesante?

“Per quanto riguarda i trasporti pesanti, il trasporto aereo e navale, Eni ritiene che vettori energetici come i biocarburanti e il biometano, che può essere sia compresso CNG che liquefatto LNG, costituiscano la risposta migliore e di più rapida applicazione per la riduzione delle emissioni in settori cosiddetti ‘hard to abate’ dove elettrificazione o idrogeno richiederanno ancora tempo per diventare soluzioni disponibili sul mercato. 

L’idrogeno è un vettore energetico dal grande potenziale di sviluppo e rappresenta una valida opzione per la mobilità sostenibile dei mezzi pesanti nel medio-lungo termine. Alla Eni Live Station di Mestre (Venezia) in località San Giuliano sono in fase di collaudo gli impianti per il rifornimento di idrogeno per autotrazione. La stazione è stata riaperta all’inizio del 2022 dopo essere stata completamente ricostruita a breve sarà la prima stazione di servizio in Italia per il rifornimento di idrogeno in ambito urbano e aperta al pubblico. Eni ha in programma una seconda stazione a San Donato Milanese”.

Parlando di biometano, vi sorprende che alcuni tra i grandi costruttori di camion europei abbiamo deciso di non puntare affatto sul gas per investire direttamente sullo sviluppo di mobilità elettrica e idrogeno?

“Eni ha posto le basi per diventare il primo produttore di biometano in Italia attraverso un accordo per l’acquisizione della FRI-EL Biogas Holding, che dispone di 21 impianti per la generazione di energia elettrica da biogas da biomasse agricole e rifiuti zootecnici e di un impianto per il trattamento della FORSU, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani, che Eni punta a convertire alla produzione di biometano. 

Oggi Eni è l’unico produttore italiano di HVO che, puro, è già in utilizzo in diversi contesti. Nell’ambito di un accordo sottoscritto con Aeroporti di Roma per promuovere iniziative di decarbonizzazione del settore aereo e accelerare il processo di transizione ecologica degli aeroporti, Eni è già impegnata a fornire biocarburante HVO puro ai mezzi della società ADR Assistance per la movimentazione dei passeggeri a ridotta mobilità in ambito aeroportuale. La fornitura di HVO puro da parte di Eni è stata avviata anche per alcune aziende nel settore della logistica. Inoltre, sono in corso test su autobus, mezzi pesanti e treni con 100% HVO che stanno dando ottimi risultati, e la sperimentazione di un blending con quote fino al 100% di HVO è in corso sui mezzi del trasporto pubblico locale grazie all’accordo di collaborazione sottoscritto con ASSTRA, l’associazione nazionale delle aziende di trasporto pubblico locale in Italia”.

Quanto è sensato prevedere una diffusione su larga scala di biocarburante totalmente, o quasi, composto da HVO?

“Oggi i costruttori valutano molto positivamente l’HVO, dal momento che non è soggetto ai limiti di miscelazione del gasolio tradizionale e può essere utilizzato puro in tutte le motorizzazioni più recenti. Proprio per queste caratteristiche, nel breve e medio termine può rappresentare un vettore energetico molto valido per contribuire da subito alla decarbonizzazione nel settore del trasporto pesante (che è uno di quei settori in cui è più difficile l’elettrificazione), in quanto è già disponibile, non necessita di investimenti sulle filiere logistiche, ha un rapporto estremamente favorevole in termini di quantità di energia per unità di volume e soprattutto non richiede investimenti troppo onerosi per il rinnovamento delle flotte dei mezzi, perché sostanzialmente può alimentare i motori diesel tradizionali”.

Per quanto riguarda i trasporti pesanti, Eni ritiene che vettori energetici come i biocarburanti e il biometano, che può essere sia compresso CNG che liquefatto LNG, costituiscano la risposta migliore e di più rapida applicazione per la riduzione delle emissioni in settori cosiddetti ‘hard to abate’

Il brand Plenitude (ex Eni Gas e Luce) per la mobilità elettrica

Dal vostro punto di vista, e grazie anche all’esperienza di Plenitude, è possibile pensare a una rete di ricarica elettrica abbastanza diffusa sul territorio per supportare le necessità dei camion “pesanti” per trasporto a lungo raggio? Oppure ci sarà da attendere lo sviluppo dell’idrogeno?

“In via generale, la mobilità elettrica ha subìto una recente accelerazione. In passato, il progetto dell’elettrificazione è stato spesso accantonato per via di due grandi criticità: le difficoltà di accumulo dell’energia che, tuttora, non sono pienamente risolte, e le valutazioni su come l’energia viene prodotta. Eni ritiene che allo stato attuale il vettore elettrico possa costituire una soluzione nei trasporti stradali leggeri, e in particolare in ambito urbano, in cui la sua diffusione può contribuire a migliorare la qualità dell’aria in città e a ridurre le emissioni di CO2 nel caso in cui l’energia elettrica utilizzata provenga da fonti rinnovabili, come nel caso di Plenitude (la società di Eni che integra la produzione da rinnovabili, la vendita di gas e luce, i servizi energetici e un’ampia rete di punti di ricarica per veicoli elettrici).

Plenitude, a seguito dell’acquisizione di Be Power, tramite la controllata Be Charge attualmente è il secondo maggiore operatore in Italia con una rete di oltre 7.000 punti di ricarica che sarà ampliata sia in Italia che in Europa con oltre 30.000 punti di ricarica previsti entro il 2025 attraverso installazioni di colonnine di ricarica nelle Eni Live Station, su suolo pubblico e su suolo privato ad accesso pubblico. Per quanto riguarda le Eni Live Station, Eni prevede di installare colonnine HPC (high-power charger) su 1.000 stazioni di servizio Eni in Italia e 500 della rete estera (Germania, Austria, Svizzera, Francia e Spagna) entro il 2025, che si aggiungono a quelle ultrafast già realizzate grazie all’accordo con la joint venture Ionity (14 sul territorio nazionale e 15 in Francia)”.

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