Houston, abbiamo un problema. Pare di sentirlo, quel grido. Che al momento non ha il tono di un vero e proprio allarme, ma di preoccupazione sì. Preoccupazione per quello che ne sarà di una fase cruciale, per l’evolversi di una situazione imprevista che manda a pallino programmi e pianificazioni, costringendo a rivedere le tempistiche, a pensare (e pure in fretta) a nuove soluzioni, a riscrivere (inevitabilmente) la tabella di marcia. Piano A e piano B. Tutto per lo sgambetto (della natura), l’ennesimo, al progetto di un’opera strategica, non solo per il Nord Italia, ma per il Paese tutto: il Terzo valico dei Giovi. 

Atteso da anni, addirittura da decenni, pensato e ripensato, poi finalmente avviato. Confluito col potenziamento delle linee ferroviarie Genova-Campasso e Voltri-Brignole nel Progetto unico voluto a suo tempo (2019) dal governo Conte, il Terzo valico dei Giovi è un’infrastruttura che riveste grande importanza per il nostro sistema-paese ma anche per l’Europa. 

Si tratta di una linea su rotaia ad alta velocità destinata a potenziare i collegamenti tra il sistema portuale ligure nel suo complesso, e da qui, attraverso le direttrici del Nord Italia, col resto d’Europa. Di fatto si tratta del primo step del progetto Corridoio Reno-Alpi che punta a collegare la portualità del capoluogo ligure con quella del Nord Europa di Anversa e Rotterdam. Al tempo stesso è anche un anello fondamentale del Trans-european network transport, ovvero la rete di infrastrutture di trasporto integrato europeo, meglio nota con l’acronimo Ten-T, che punta al massimo efficientamento della circolazione delle persone e delle merci nella Ue.

I treni viaggeranno a 250 chilometri all’ora

Dunque, davvero un progetto strategico oltre che ambizioso. E come confermano i numeri, anche imponente. Giusto per rendere meglio l’idea, si prevede ad esempio l’impiego di 3,5 milioni di metri cubi di calcestruzzo, 160 mila tonnellate di acciaio di armatura per cemento armato, 15 milioni di metri cubi di materiali di scavo. La realizzazione del Terzo valico dei Giovi coinvolge due regioni (Liguria e Piemonte), che attualmente ospitano, sulla tratta Genova-Tortona, una decina di cantieri con 14 comuni interessati. Lunga 53 chilometri, 37 dei quali in galleria, l’opera consentirà ai convogli ferroviari di viaggiare spediti, alla velocità massima di 250 all’ora. 

Per il completamento del Terzo valico, che si inserisce nel solco delle linee guida indicate nel Libro bianco dei trasporti dell’Unione europea, con l’obiettivo di trasferire su ferro il 30 per cento del traffico merci entro il 2030, per salire poi al 50 per cento entro il 2050, il tetto di spesa fissato dal Cipe (con delibera n.84/2010 del 18 novembre 2010), è di ben 6.900 milioni di euro. 

Inserita tra gli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), collocazione che dunque consente di spendere le risorse messe a disposizione dal Next generation Eu attivato per l’aiuto dei paesi Ue all’indomani delle gravi ripercussioni dovute alla pandemia, l’opera si trova adesso davanti a un bivio.

È successo infatti che lo scavo nella montagna, nel tratto finale, si parla degli ultimi 800 metri della galleria lunga circa 10 chilometri, del cantiere di Pozzo Cascina Radimero, nel terrotorio di Arquata Scrivia, è stato interrotto, e lo è ormai da un anno, a causa delle difficoltà incontrate nella perforazione della roccia. La cui “friabilità”, come ha spiegato Calogero Mauceri, che del Progetto unico è il commissario straordinario, «esercitava pressioni sullo scudo delle macchine impiegate». 

Pressioni, quelle sulle attrezzature dello scavo meccanizzato, ritenute pericolosamente anomale, che hanno consigliato dapprima l’immediato stop e successivamente, dopo attenta valutazione, il cambio tout-court della metodologia di scavo, che in un primo tempo avrebbe dovuto alternare alla collaudata tecnica con esplosivi ed escavatori, l’utilizzo delle arcinote talpe meccaniche (Tbm). Invece, niente doppio sistema, si proseguirà con il metodo tradizionale, dunque affidandosi alle cariche esplosive.

E adesso cosa fare?

Senza questo problema (peraltro non l’unico: nelle gallerie è stata infatti rilevata anche la presenza pericolosissima di amianto, che ha richiesto particolari trattamenti a tutela della salute degli operai), le operazioni di scavo, che a gennaio hanno raggiunto lo stato di avanzamento dell’85 per cento, si sarebbero potute concludere già la scorsa estate. 

L’intoppo, chiamiamolo così, ha naturalmente determinato uno stravolgimento della tabella di marcia. Non soltanto. C’è anche un altro serio problema, pur di diversa natura. In quanto inserito nel Pnrr, il Terzo valico dovrà necessariamente rispettare la scadenza di giugno 2026, quale data ultima di completamento dell’opera. Che il rallentamento dei lavori mette adesso a rischio. 

Bella gatta da pelare per il governo Meloni, che dovrà a questo punto decidere se confermarla nel Pnrr anche facendo fronte alle conseguenze previste, oppure procedere in autonomia finanziandola con fondi nazionali. Scelta non facile.

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