Ci sono voluti tre anni di processi e il sostegno del patronato sindacale belga Ubt-Fgtb. Ma, alla fine, sette autisti bulgari, vittime del dumping sociale che ormai impazza in tutta Europa, l’hanno avuta vinta e il tribunale del lavoro di Hasselt, nel Limburgo belga, ha condannato la società logistica Rmt, che ha sede nella città di Tessenderlo, a risarcirli con oltre 230 mila euro di integrazione salariale. Segnalato come una ‘prima assoluta’ , il caso belga dimostra che se polizia e tribunali vogliono funzionare, i datori di lavoro non hanno poi le mani così libere nello ‘spremere come limoni’ gli autisti dell’Est europeo.

Gli schiavi del volante

Dipendenti formalmente della Rematra, una consociata bulgara di Rmt senza altra struttura che una casella postale, i sette autisti ricevevano un salario appunto ‘bulgaro’ di 211 euro netti al mese. Nonostante la sede locale di Rmt, ufficialmente loro datore di lavoro, non l’avessero mai vista.

Con paga da fame abitavano sul camion e in una roulotte

Caricati su un minibus in una stazione ferroviaria di Sofia dopo un reclutamento online, erano stati catapultati sul piazzale della casa madre in Belgio, dove gli erano stati consegnati i camion, nei quali hanno lavorato e alloggiato anche per sei mesi di fila, sempre per viaggi con partenza e rientro in Belgio. Ciliegina sulla torta, per i periodi di riposo era stata messa a disposizione dei sette schiavizzati una roulotte di terza mano parcheggiata di fianco ai bagni del piazzale e priva di allacciamento elettrico.

Gestito come ‘processo pilota’ dagli avvocati del sindacato belga Ubt-Fgtb, che ha documentato come tutte le bolle dei viaggi svolti non avessero nulla a che fare con la Rematra, il caso dei sette bulgari è costato caro alla Rmt: il giudice l’ha infatti condannata a risarcire gli autisti sia dal punto di vista dell’integrazione salariale ma anche per ciò che riguarda la parte contributiva, che l’azienda belga dovrà concordare, sanzioni accessorie per evasione comprese, nei prossimi mesi.

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