La possibilità di celebrare le festività natalizie va salvata, a tutti i costi. Lo ha ribadito anche il premier Conte durante la conferenza stampa in cui ha illustrato le misure del nuovo DPCM che sono andate ad impattare su numerose attività, bar e ristoranti in primis, ma anche teatri, cinema, palestre e, non ultime, le attività fieristiche.

Ma, qualora un nuovo lockdown non dovesse essere scongiurato per natale, andrebbero bruciati altri 25 miliardi di euro di consumi. Una cifra spaventosa che si va ad aggiungere al crollo generalizzato delle spese nel 2020. Spese che, a fine anno, potrebbe arrivare a 229 miliardi (-19,5% in termini reali in un anno). Questo porterebbe impatti durissimi su tutta la filiera, dal retail alla ristorazione passando, ovviamente, per il settore che interconnette tutta l’Italia produttiva, l’autotrasporto.

E’ quanto emerge dal report Censis-Confimprese dal titolo «Il valore sociale dei consumi».

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Censis-Confimprese, l’orizzonte ultimo è Natale. Poi il buio

Censis-Confimprese ha effettuato dei sondaggi, riassunti nel report. Quasi la metà degli italiani è disposta ad accettare le nuove misure restrittive. Questo perchè all’orizzonte, seppur in modo alquanto sfocato, inizia a intravedersi la possibilità del vaccino o quantomeno di una cura risolutiva.

Ma l’attesa non è eterna. Il limite massimo, come sottolinea il documento, è fissato per natale. Una data cardine attorno cui ruotano gli sforzi del Governo e della collettività per evitare il tracollo dei consumi.

A tale proposito le stime sono chiare. La seconda ondata di restrizioni, a cui vanno aggiunti gli effetti pesantissimi del primo lockdown, potrebbe portare ad «un catastrofico taglio potenziale di posti di lavoro, fino a 5 milioni di unità. Il solo retail subirà una sforbiciata di 95 miliardi di euro di fatturato (-21,6%) e nel comparto si rischia la perdita di oltre 700.000 posti di lavoro».

Ipotesi nuovo lockdown, i sentimenti degli italiani

Per il 15% degli intervistati un nuovo lockdown costerebbe troppo in termini economici (e servirebbero altre soluzioni). Per il 43,3%, per garantire il giusto equilibrio tra la tutela della salute e la difesa dell’economia, bisognerebbe distinguere il rischio di contagio nei diversi territori, blindando i territori ad alto rischio e allentando la presa sugli altri. Solo per il 30% invece la tutela della salute impone lacrime e sangue, con tutte le conseguenze che una scelta del genere comporta sul piano dei consumi.

Ecco le parole di Mario Resca, presidente Confimprese.

«La situazione del commercio è già durissima oggi che abbiamo soltanto chiusure parziali. Già quando, una settimana fa, si è cominciato a parlarne, la flessione è stata immediata. I clienti si sono diradati e distribuzione, ristorazione e commercio hanno già intravisto i giorni bui di marzo e aprile».

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Paura, incertezza, solitudine: il nuovo lessico quotidiano

E se «nella prima ondata, quasi 4 milioni di famiglie hanno già fatto ricorso a prestiti e aiuti da parte di familiari e amici, soprattutto quelle con redditi bassi (il 25%)», il rischio ora, con un ulteriore giro di vite sulle attività, è che vengano meno anche le reti di sostegno informale, pilastro su cui milioni di italiani hanno fatto affidamento durante la prima ondata con il conseguente rischio, per tantissimi famiglie, di ritrovarsi sole e senza appigli economici, nonostante il tempestivo piano di ristori che il Governo ha già annunciato e che, stando alle prime indiscrezioni, dovrebbe già arrivare entro il 15 novembre.

La ricaduta sui consumi è inevitabile: «paura e incertezza – prosegue il report Censis-Confimprese – colpiscono maggiormente le persone con i redditi più bassi: il 60,3% di essi (contro il 37,2% medio) taglia i consumi per risparmiare soldi da utilizzare in caso di necessità», anche se per moltissimi italiani (il 76,9%), consapevoli dell’importanza della spesa delle famiglie sia per il benessere personale che sociale, sostenere i consumi resta un priorità.

Le abitudini sono cambiate

Dall’inizio della pandemia le abitudini di consumo degli italiani sono cambiate radicalmente, sia per quanto riguarda la scelta dei negozi fisici (13 milioni hanno hanno cambiato le abitudini degli acquisti alimentari) sia per quanto riguarda i comportamenti di acquisto online, settore che, come abbiamo già avuto di vedere in seno alla logistica dell’ultimo miglio, ha subito un aumento esponenziale.

«In generale, dopo il Covid-19 – prosegue il report – il 38% degli italiani afferma che non tornerà alle vecchie abitudini di consumo. Il futuro si sta forgiando nel fuoco dell’emergenza. E il retail, motore economico e grande bacino occupazionale, sarà imprescindibile per la ripresa».

«Immagino che nessuno voglia che il crollo dei consumi metta a rischio l’economia – conclude Resca – ma per mantenerli entro la caduta fisiologica l’esecutivo deve aiutare subito il commercio e la distribuzione. Altrimenti, la fotografia che ci offre il Censis sarà presto una dura realtà».

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