Federtrasporti scende in campo contro il caro-carburanti che ha travolto il settore dell’autotrasporto italiano e propone le prime possibili soluzioni per arginare un’onda anomala che rischia di mettere in crisi non solo il comparto, ma tutto il tessuto economico ed industriale del Paese. Il presidente della sigla Claudio Villa, nello specifico, ha ribadito che, a fronte di un aumento dei costi di trasporto del 10%, l’aumento al chilo (o al litro) della merce trasportata sarebbe solo di 0,002 centesimi, un valore decisamente contenuto rispetto agli aumenti vertiginosi che hanno interessato i carburanti nelle ultime settimane, in particolar modo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Tuttavia, ha sottolineato Federtrasporti, «il mercato in modo assolutamente cieco non ha intenzione di rispondere a una sollecitazione di questo tipo. Villa riferisce il caso di diversi associati al raggruppamento di autotrasportatori di cui è presidente che, dopo aver avanzato richiesta ai loro committenti di aumentare la tariffa del 10 per cento, hanno ottenuto come risposta un secco “no”».

Caro-carburanti, Federtrasporti propone la sua ricetta. E non mancano le critiche

Eppure, prosegue la sigla, «la cecità risiede nel fatto che se anche nell’autotrasporto valesse – come si auspica potrà accadere – la clausola del fuel surchange, quella cioè che fa salire il prezzo di un biglietto aereo o di un traghetto in maniera percentuale rispetto all’incremento fatto registrare dal carburante, oggi in realtà dovrebbero pagare molto di più. Il gasolio infatti – come ricorda Villa – è aumentato da inizio 2022 del 15,2 per cento e, da un anno a questa parte, del 33 per cento, facendo così lievitare i costi vivi per singolo camion di 12-13 mila euro».

«La cosa che lascia sconcertati – incalza il presidente Federtrasporti – è che parliamo di un settore che si occupa anche di portare i beni di prima necessità. Perché se i pescatori, costretti dai rincari del gasolio, prendono la sacrosanta decisione di interrompere la pesca per una settimana, alla fine limitano la presenza di un alimento sulle tavole degli italiani per questo lasso di tempo. Ma se l’autotrasporto non ottiene quel 10 per cento di incremento e sarà quindi costretto a spegnere i motori per non viaggiare in rimessa, si corre il rischio che si interrompa anche la movimentazione di alimenti, farmaci, carburanti e di tutto ciò che, in epoca di lockdown, definivamo “generi di prima necessità”. E noi, come società, vogliamo correre questo rischio per non spendere 0,002 centesimi in più al chilo o al litro?».

«Il calcolo di questa cifra con il “doppio zero dopo la virgola” è presto fatto. Semplifichiamolo con un esempio. Consideriamo una missione di trasporto di 300-400 chilometri che, quando è decentemente pagata, richiede una tariffa di circa 700 euro. Un incremento del 10 per cento equivarrebbe quindi a 70 euro. Calcolando che una cisterna riesce a trasportare 32 mila litri di prodotto, dividendo tale quantitativo per i 70 euro verrebbe fuori un incremento per singolo litro di 0,0021 euro. Se invece si prende come riferimento un autoarticolato che arriva a trasportare 30 tonnellate, l’aumento per singolo chilo di questa merce sarebbe di 0,0023 centesimi. «E non si venga a dire – conclude Villa – che questi numeri potrebbero generare una deriva inflattiva…».

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