Si farà il ponte sullo Stretto. L’ultimo e più recente segnale in questa direzione è arrivato in piena estate, il 6 agosto, con l’approvazione del progetto da parte del Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), il massimo organismo di coordinamento istituzionale della programmazione economica.

Approvati, dunque, il progetto definitivo dell’opera e dei servizi, le conclusioni della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale, il piano economico finanziario, la relazione del Mit che attesta la copertura dei fondi necessari. E approvate anche le diverse opere compensative.
A questo punto si attende soltanto la cosiddetta bollinatura della Corte dei conti. Poi, sarà il via alla cantierizzazione, prevista, se non interverranno ritardi, entro il mese di ottobre.

Il ponte a campata unica più lungo del mondo

“Sarà il ponte a campata unica più lungo al mondo”, ha dichiarato Matteo Salvini, vicepremier e titolare delle Infrastrutture, aggiungendo, dopo essersi detto “assolutamente orgoglioso del tratto di strada fatto sin qua”, che un’opera del genere “è un acceleratore di sviluppo”.
Immaginato per la prima volta ormai quasi sessant’anni fa (nel 1968), sostenuto e bocciato a seconda dei governi in carica, il progetto del ponte sullo Stretto è un’opera faraonica e divisiva.

Per dirla con un inglesismo, si tratta di un progetto game changer, ovvero in grado di cambiare le regole del gioco. Ma soprattutto, come tutte le opere altamente innovative a elevato contenuto ingegneristico, il ponte sullo Stretto è inevitabilmente divisivo. E come tale porta con sé facili entusiasmi (a volte fuori luogo) e una scala crescente di dubbi e timori (anche esagerati).
Nel caso del Ponte, poi, al di là di ogni altra considerazione e posizione ideologica, tutte rispettabilissime, certo non aiuta la genesi e il percorso che negli anni hanno accompagnato la sua storia, fatta di strenui sostenitori (i governi Berlusconi, ad esempio) e irremovibili oppositori (su tutti, gli esecutivi di Prodi e Monti).

Il tutto, amplificato dalle caratteristiche stesse dell’opera, faraonica e complessa al tempo stesso. È vero, oggi come mai nel passato il ponte sullo Stretto tra Calabra e Sicilia è tecnicamente realizzabile (a proposito: il contraente generale è Eurolink guidato dal gruppo Webuild), ma proprio e soprattutto considerato il contesto e la morfologia del territorio in cui si inserisce, l’opera necessariamente richiede una verifica della fattibilità attenta, scrupolosa, oseremmo dire quasi maniacale, che non tralasci in nessun modo alcun aspetto legato alla vita del ponte.

A questo proposito, tra i temi di criticità più discussi, che alimentano e sollevano perplessità e timori, c’è quello legato alla sismicità dei luoghi. Campanello d’allarme lanciato da Carlo Doglioni, già presidente dell’Ingv (Istituto nazionale geofisica e vulcanologia) che parla di zona, quella interessata dalla costruzione del Ponte, “notoriamente soggetta a terremoti tra i più forti che possono colpire l’Italia”.

Calabria e Sicilia più distanti di 3 mm all’anno

Non è un caso, come sottolineato nell’articolo su ‘La Repubblica’ della senatrice a vita Elena Cattaneo, docente presso l’Università statale di Milano, che “nei soli 40 chilometri attorno a Villa San Giovanni (in Calabria) negli ultimi 40 anni si sono registrate 5.431 scosse”, mentre “Calabria e Sicilia si allontanano di circa tre millimetri l’anno, in un braccio di mare largo appena tre chilometri”.
C’è di più. Lo stesso Doglioni spiega che l’indice da considerare con maggiore attenzione è lo “scuotimento sismico“, fenomeno capace di sollevare e abbassare le case di due metri (come accaduto nel sisma del 2003 in Turchia), con conseguenze facilmente immaginabili.

Nel suo articolo, la senatrice Cattaneo spiega che secondo Doglioni “il metodo di calcolo adottato nel progetto sottostima in modo significativo queste accelerazioni”, benché, si sottolinea, il progetto stesso “rispetta le norme vigenti, ma le norme, spiega (Doglioni) sono datate e fissano valori troppo bassi rispetto alle conoscenze e alle misure oggi disponibili”.
Vero è che il ponte sullo Stretto è stato progettato per resistere a terremoti di magnitudo 7.1 della scala Richter (e grazie al modello Type deck brevettato specificamente, a venti che soffiano a velocità superiori ai 200 chilometri all’ora), garantendone l’integrità strutturale. Tuttavia, quando si parla di sicurezza, come purtroppo ha tragicamente insegnato il crollo del ponte Morandi a Genova, ogni cautela è d’obbligo. Sempre e comunque. Dunque anche per un’infrastruttura da record complessa e unica nel suo genere (almeno in Italia), che richiederà 13,5 miliardi di euro (costo preventivato) e che mette in gioco il prestigio dell’Italia nel mondo. Ogni errore sarebbe imperdonabile.

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