Alla ricerca del filtro perfetto. La nostra intervista a Paolo Cataldi (UFI Filters)
Non soltanto la grande novità di prodotto, gli innovativi filtri aria motore UFICore: con Paolo Cataldi abbiamo parlato di primo equipaggiamento e aftermarket, dell'impronta di UFI nel settore dei veicoli pesanti in Italia e nel mondo e del ruolo che l'azienda veronese vuole ritagliarsi in questa fase di transizione. Sia sull'elettrico che sull'idrogeno, questo è il messaggio, noi ci siamo.

Non più tardi dello scorso maggio il costruttore globale, ma dall’anima italiana, UFI Filters ha lanciato quella che rappresenta una grande innovazione nella componentistica destinata ai camion. UFICore, infatti, è la nuova linea di filtri aria motore che poggia sulle capacità di ricerca del costruttore per fare un passo importante verso una maggiore sostenibilità. Da qui parte la nostra chiacchierata con Paolo Cataldi, Aftermarket Business Unit General Manager di UFI Filters, alla scoperta dei piani presenti e futuri dell’azienda nel business dei veicoli industriali.

I nuovi filtri aria motore UFICore di UFI Filters
Il lancio dei filtri aria motore UFICore è la notizia del momento. Quali sono le caratteristiche principali del prodotto e perché si adatta bene al mondo heavy-duty, anche stradale?
“UFICore è un prodotto che ha un design con delle scanalature ondulate che consentono un flusso d’aria ottimizzato, una perdita di pressione – il cosiddetto pressure drop – minima, e un’efficacia di filtrazione al 99,99% periodico, testata secondo gli standard ISO, in questo caso ISO 500011. Questo significa che il prodotto garantisce prestazioni elevate nelle condizioni più gravose, tipiche anche dei veicoli pesanti a lunga percorrenza. Aggiungerei che UFICore permette una riduzione degli ingombri di circa il 40% rispetto a un filtro aria motore tradizionale, con grandi benefici in termini di installazione nel vano motore”.
C’è stata una scelta significativa anche riguardo ai materiali, con l’utilizzo di media filtranti ad alta qualità. Per quali ragioni?
“I media filtranti di UFICore sono a base di cellulosa con fibre sintetiche (senza fibra di vetro), facilitandone lo smaltimento. Questa scelta da parte di UFI è frutto di una lunga e accurata analisi, fatta di test comparativi, prove di laboratorio e analisi al microscopio, condotti allo scopo di garantire un livello di performance paragonabile ai filtri destinati al primo equipaggiamento”.

Quanto dura il processo di ricerca e sviluppo di un prodotto del genere mediamente, dall’inizio fino al lancio?
“Fondamentalmente dobbiamo distinguere due fasi, la ricerca e lo sviluppo. La ricerca è quella che porta l’innovazione, e raramente un’attività di ricerca ha uno spazio temporale inferiore ai cinque anni. Poi c’è una fase di sviluppo, quella in cui si commercializza il prodotto, in cui il prodotto viene adattato, customizzato alle esigenze del cliente, che di solito non dura mai meno di tre anni. Mentre la fase di ricerca è per lo più virtuale, di laboratorio, la fase di sviluppo è quella che richiede anche tutti i test di performance su strada. In totale, possiamo mediamente considerare un tempo di otto anni fra la prima fase di ricerca teorica e la seconda fase di sviluppo per il cliente”.
L’impronta nel mondo dei camion
Per quanto riguarda i test su strada, come gestite la collaborazione con gli OEM?
“Quando si parla di innovazione ci sono anche all’interno del parco dei costruttori di veicoli industriali degli innovatori e dei follower, diciamo così. Nella fase di ricerca di solito lavoriamo con quei costruttori che sono più alla ricerca di soluzioni innovative. Spesso siamo noi stessi a proporre al costruttore delle soluzioni innovative quando, avendo in qualche modo intercettato dei bisogni, riusciamo a trovare soluzioni in grado di generare un miglioramento della performance o un miglioramento tecnico”.

Qual è il posizionamento di UFI, a livello non solo italiano ma anche internazionale, nei prodotti di filtrazione per il mondo truck?
“Faccio un cappello introduttivo: fra i vari produttori di filtri, UFI è quello meno focalizzato sull’Europa. Basta vedere il nostro footprint industriale nel mondo: abbiamo 22 plant, di cui soltanto 6 in Europa. È chiaro quindi che noi siamo un partner globale. Collaboriamo con un ampio numero di costruttori mondiali, che rappresentano quantomeno il 50% della produzione globale di mezzi pesanti. Possiamo dire tranquillamente che negli ultimi dieci anni un camion su due registrato nel mondo contiene dei filtri UFI. E non parliamo solo di primo equipaggiamento, c’è anche l’aftermarket”.
Cosa possiamo dire a questo proposito?
“La forte expertise nel mondo dei costruttori ci permette di fornire direttamente all’aftermarket lo stesso livello di performance, di innovazione. Noi offriamo in aftermarket esattamente la qualità che offriamo come primo equipaggiamento: il prodotto è lo stesso, anche per logiche di produzione puramente economiche. Inoltre, tenendo presente che nel truck, ancor più che nelle auto, conta molto la personalizzazione, è importante il fatto che noi abbiamo a disposizione una produzione interna dei media filtranti, a differenza di molti dei nostri concorrenti. Il media è proprio il cuore del filtro”.
Come giudicate, dal vostro punto di vista, il trend attuale dell’aftermarket nel trasporto stradale pesante? Quanto si guarda alla qualità e all’affidabilità dei componenti, quanto invece a logiche di costo?
“Le logiche legate al costo sono sicuramente presenti, nel primo equipaggiamento così come nell’aftermarket, ma possiamo dire che non sono le uniche che guidano la scelta dei clienti. Sottolineerei il tema dell’affidabilità, molto importante perché – e capisco sia anche un po’ banale dirlo – un camion fermo rappresenta un danno grave per un’azienda”.
Il mercato italiano del truck dal punto di vista di UFI
Per restringere il discorso al mercato italiano, si parla tanto del parco circolante che diventa sempre più anziano e di un mercato difficile in questo periodo storico. Come si riflette tutto questo nella vostra attività?
“Quello che vediamo noi è certamente una crescita dei volumi nell’aftermarket leggermente più alta della crescita dei volumi del ricambio originale, proprio perché l’invecchiamento delle vetture in circolazione fa sì che i proprietari decidano di rivolgersi per il service al mercato indipendente, tradizionalmente più economico. In generale, comunque, c’è una crescita del mercato della manutenzione specialmente di quella programmata, che permette di preservare il più possibile i componenti chiave dei veicoli.
Per quanto riguarda il calo delle immatricolazioni, mi sembra un fenomeno non solo Italiano e che segue direttamente le dinamiche economiche dei paesi. Mi viene in mente, per esempio, la Cina, dove la grande crescita delle immatricolazioni dei veicoli pesanti si è arrestata con il crollo del settore edilizio dopo il boom degli scorsi anni. Il camion continua a essere il vettore dell’economia, insomma”.
La transizione come grande opportunità
Parliamo di transizione: quali sono i prodotti più adatti a camion e veicoli elettrici che avete in gamma? E come state lavorando con gli OEM allo sviluppo di nuovi prodotti che si possano adattare a questa nuova tecnologia?
“La transizione tecnologica è una grande opportunità di innovazione e per player come UFI l’innovazione è il territorio di caccia preferito, per cui il fatto di lavorare molto con i principali costruttori dei veicoli ci permette di essere un passo avanti, nel senso che conosciamo in anticipo le esigenze del mercato. Sicuramente la transizione non sarà così netta come ci sarebbe aspettati, ma la transizione è spesso dettata da fattori economici, e sappiamo che, quando una tecnologia diventa più efficiente o più economica di un’altra, indipendentemente dalla volontà della politica, prevale. Tutti gli investimenti che il mondo del trasporto ha fatto nell’innovazione e anche nell’elettrificazione avranno una risposta forte sul mercato quando non saranno più necessari gli incentivi, cioè quando la soluzione risulta essere più efficiente per l’utilizzatore.

Come UFI, parlando di mobilità elettrica, siamo in realtà in grande espansione anche nel truck. Abbiamo una divisione dedicata, che sviluppa soluzioni per la gestione termica, con una linea di scambiatori di calore di ultima generazione, fondamentali per garantire il funzionamento perfetto dei veicoli ibridi ed elettrici, perché comunque la batteria si deve mantenere entro un range di temperatura. Non dimentichiamo, poi, l’esigenza di filtrare i circuiti di raffreddamento e di lubrificazione, che rimane anche nei veicoli elettrificati.
Con questo voglio dire che la filtrazione non scompare del tutto, magari si sposta un po’ più in là e richiede componenti che avranno un intervallo di manutenzione più lungo rispetto a quello odierno, ma che comunque necessiteranno di essere sostituiti regolarmente per garantire tanto il raffreddamento, quanto la lubrificazione; quindi, eliminando l’attrito fra ingranaggi di qualunque natura attraverso i quali avviene la trasmissione della potenza”.
Sappiamo che UFI è attiva anche nel settore dell’idrogeno, vettore che pare tuttora abbastanza problematico per quanto riguarda il trasporto commerciale stradale. Che tipo di riscontro avete dal mercato? Vedete un business per il prossimo futuro?
“Sull’idrogeno il principale ritardo, se vogliamo, è quello infrastrutturale. La tecnologia c’è, esiste, è evoluta, e può diventare economicamente sostenibile per i trasportatori. Dal nostro punto di vista, il trasporto a lungo raggio è il segmento in cui l’idrogeno può risultare più appetibile e sostenibile, sia per il costruttore di veicoli, sia per l’utilizzatore finale, il trasportatore.
Al momento, vediamo che non c’è una grande domanda. Di fatto, i grandi costruttori di auto, ma anche di truck, sono stati abbastanza bruciati dalle stime di crescita dei veicoli elettrici. In altre aree del mondo, penso a Giappone e Corea, c’è comunque fermento a livello di ricerca. In questo quadro, credo che le celle a combustibile, piuttosto che il motore a combustione interna, sia l’ambito che ha più opportunità concrete di sviluppo”.

Qual è la strategia di UFI Filters per quanto riguarda gli investimenti da fare verso un mercato che è totalmente imprevedibile in questo momento? È meglio fare investimenti adesso, rischiando magari di sprecare delle risorse, oppure tenersi un attimo alla finestra, in attesa di vedere quali saranno gli sviluppi legati ai camion a idrogeno?
“Rispondo così: il nostro presidente Giorgio Girondi crede fermamente nella neutralità tecnologica. Pertanto, la sua decisione di investire sull’idrogeno risale al 2017, ormai otto anni fa. Il vantaggio competitivo è che oggi l’idrogeno è un investimento che non riguarda esclusivamente il settore automotive. Ad esempio, la nostra società UFI Hydrogen, con sede a Trento, nella Green Valley, è quella che produce proprio le membrane che sono fondamentali per celle a combustibile ed elettrizzatori. Si tratta di componenti che hanno utilizzi anche al di fuori del settore automotive: per esempio, industria pesante, pipeline di gas, idrogeno e così via”.